Bahram Beyzaei

Bahram Beyzaei è un regista, produttore, sceneggiatore ed scrittore iraniano, egli nato a Teheran, in Iran, il 26 dicembre 1938. Si è avvicinato al mondo dell’arte quando era ancora molto giovane. Al liceo scrisse due commedie storiche che alla fine divennero il suo metodo di scrittura preferito. Entrò quindi all’Università di Teheran, ma non terminò gli studi per mancanza di interesse per la materia che stava studiando.

Fu allora che iniziò a fare ricerche sul teatro iraniano e sulla letteratura epica. All’età di 21 anni ha fatto un’ampia ricerca sul “Libro dei Re” (Shahname) e Ta’azie – un genere teatrale religioso iraniano -.  Studiò anche la storia preislamica e si familiarizzò con la pittura persiana.

I successivi dieci anni della sua vita furono dedicati a scrivere in varie pubblicazioni sull’arte orientale e sul teatro iraniano. Scrisse anche un buon numero di articoli sul cinema che divennero poi oggetto di uno dei suoi libri. È durante questo periodo che Bayzaei scrisse alcuni dei suoi capolavori: “The Eight Voyage of Sinbad”, “Banquet”, “Serpant King”, “Dolls”, “Story of the Hidden Moon” e molti altri…

Ha iniziato la sua carriera cinematografica con un cortometraggio di successo chiamato “Uncle Moustache” (Amoo Sibiloo) nel 1970. Da allora ha prodotto e diretto altri 8 film e ha dato un contributo significativo allo sviluppo del cinema e del teatro in Iran. Nonostante la sua popolarità e conoscenza, Bayzaei non è mai riuscito a ottenere il sostegno del governo, né prima né dopo la rivoluzione. Dopo quasi 20 anni, due dei suoi film “Death of Yazdgerd” e “Ballad of Tara” non hanno ancora ricevuto un permesso di proiezione. Entrambi i film sono stati accantonati a causa del fatto che non sono conformi al codice islamico attualmente in uso nell’industria cinematografica iraniana. “Bashu, il piccolo straniero” sarebbe stato il suo terzo film ad essere accantonato. Ma alla fine ha ottenuto un permesso  per la proiezione dopo la fine della guerra tra Iran e Iraq. Il film parla di un bambino che ha perso la casa e la famiglia a causa della guerra.

Beizaei con Bashu mette in evidenza la netta differenza antropologica e linguistica tra nord e sud dell’Iran in un momento bellico e disastroso.

Fariba Vafi (1963)

Fariba Vafi è nata il 21 gennaio 1963, a Tabriz nell’Iran nord-occidentale. Ha iniziato a scrivere storie in tenera età e si è concentrata sulla scrittura letteraria come suo obiettivo principale. Ha visto l’uscita del suo primo libro, (In Depth of the Stage) nel 1986 e da allora ha pubblicato dei brevi racconti e sette romanzi. Le sue opere sono state tradotte in molte lingue e hanno vinto dei premi internazionali. Fariba, che è originariamente azera, crede che il suo talento linguistico a volte si incastri tra il persiano e il turco (azero), perché in persiano è una persona e in azera è un’altra persona, ma dopo tutti questi anni ha cercato di conciliare e bilanciare queste due lingue. Fariba ha lasciato molte opere i questi anni, tra le la raccolta di storie approfondite, “Anche quando ridiamo”, “sulla strada per la villa”, “Come un uccello in volo” e altri romanzi.

Fariba è una scrittrice realista le cui principali preoccupazioni sono i problemi delle donne, Fariba considera la storia come una piattaforma per esprimere le sofferenze delle donne nella società. Nelle sue storie, fa riferimento ai dettagli della vita delle donne e ai tipi di violenza dal punto di vista dei personaggi femminili. Le sue storie dimostrano le donne e ragazze che hanno subito dei traumi nella loro vita o durante la loro infanzia. I risultati mostrano che le donne nelle sue storie hanno una personalità statica e stagnante e sono spesso vittime del patriarcato e delle esigenze della società maschile e sono passive di fronte alla violenza.

Come un uccello in volo è la storia di una donna con due bambini piccoli che, dopo una lunga assenza, diventa proprietaria di una casa di 50 metri e ne è felice, ma la sua felicità dura poco. Suo marito Amir vuole vendere la casa ed emigrare in Canada. La donna non vuole andare da nessuna parte. La donna infatti vuole solo trovare il suo posto nella vita guardando il passato analizzandolo. Nell’analisi del passato troviamo punti sottili e nuovi nella vita di una donna iraniana, e insieme alle sue sofferenze e gioie, incontriamo la complessità della situazione attuale.

“Il mio silenzio ha un passato. Sono stata incoraggiata molte volte per questo. Avevo sette o otto anni quando sapevo che non tutti i bambini ce l’hanno. Il mio silenzio è stato la mia prima risorsa. … Negli anni che seguirono, fui spesso ammirata dalle donne della nostra famiglia per la mia gentilezza. A causa della mia segretezza. Presto mi resi conto che stavo in una scatola con una porta piena di segreti. Amir era disturbato dai miei silenzi. Il mio silenzio lo spaventa. A poco a poco mi sono abituato a essere loquace, anche quando non era necessario. Anni dopo ho imparato che le parole possono essere un nascondiglio ancora migliore del silenzio.”

Farsì (Arabizzato di Parsi): il persiano la lingua parlata in Iran 

L’indoiranico è uno dei rami principali della famiglia della lingua italiana in quanto riunisce tutte le condizioni favorevoli per esserlo. Le sue genti furono uno dei primi popoli indoeuropei a far irruzione nella storia. Una di esse divenne la lingua classica di una cultura così antica e peculiare quale fu quella dell’Iran. Nel I millennio a.C. gli indoiranici appaiono definitivamente scissi nei loro due rami, quello indiano e quello iranico, e stabiliti in un continuum che va dall’Iran fino all’India, passando per l’Afghanistan e il Pakistan. A partire da questo momento, i due popoli vanno considerati separatamente. Per cui una di queste linguae del gruppo indo-iranico è appunto il farsì ossia il persiano moderno. Il farsì è di ceppo indo-europeo ed è completamente diverso dalle lingue semitiche quali come l’arabo o l’ebraico.

L’Iran è stato islamizzato nel corso del VII e VIII secolo d.C., dopo la conquista da parte degli arabi, quando la calligrafia araba sostituisce quella persiana. Però il farsì mantenne le sue forme grammaticali per cui dal punto di vista morfosintattico il persiano rimane tale uguale come prima e non divenne una lingua semitica. La storia pre-islamica iranica è stata talmente opulente e radicale che ha lasciato le sue tracce ben riconoscibile, a partire dalla lingua. Prima della conquista araba, la lingua persiana ebbe due fasi di evoluzione: il persiano antico e l’avestico

  • il persiano antico è la lingua ufficiale della dinastia achemenide durante l’impero persiano. Dario il Grande (521 – 486 a.C.) introdusse la scrittura per la sua lingua, una modalità semplificata del sistema cuneiforme.
  • L’avestico è la lingua in cui è scritto l’Avesta, ossia il testo sacro degli Zoroastriani. Trasmesso a lungo per via orale e non fu per scritto fino a dopo il III secolo d.C., in epoca sassanide e veniva parlato durante il periodo del regno sassanide e aveva subito notevoli semplificazioni rispetto a quello antico. Non aveva un solo alfabeto, bensì due: quello aramaico e quello chiamato huzvaresh.

Ancora oggi i diversi dialetti iranici continuarono la loro evoluzione fino a che, nel X secolo emergono sotto la forma di iranico moderno. La principale opera letteraria in iranico moderno è il poema epico Il libro dei re, il cui autore, Firdusi, visse fino al 1000 d.C. circa. Attualmente si continuano a parlare numerose varietà dialettali. Tra esse il farsì, lingua nazionale dell’Iran; il pashto, lingua ufficiale dell’Afghanistan; i dialetti curdi, parlati in Siria, Turchia, Iran e Iraq; i dialetti del Pamir, sull’omonimo altopiano situato a nord-ovest dell’Afghanistan. Infine le lingue iraniche a nord Caucaso, l’ossetico e i dialetti caspici sono eredi della lingua degli ultimi elementi indoeuropei che restarono nelle steppe, che chiamiamo sciiti e sarmati.

Jafar Panahi

Jafar Panahi, nato l’11 luglio 1960 a Mianeh in Iran, egli è un regista, sceneggiatore e montatore iraniano. Dopo diversi anni trascorsi a realizzare cortometraggi e a lavorare come assistente alla regia per il collega regista iraniano Abbas Kiarostami, Panahi ha ottenuto il riconoscimento internazionale con il suo primo lungometraggio nel 1995, Palloncino binaco (Badkonake Sefid). Il film ha vinto la Caméra d’Or al Festival di Cannes 1995, il primo importante premio vinto da un film iraniano a Cannes.

All’età di vent’anni Panahi fu arruolato nell’esercito iraniano e prestò servizio nella guerra Iran-Iraq. Ha lavorato come direttore della fotografia dell’esercito dal 1980 al 1982. Nel 1981 è stato catturato dai ribelli curdi che stavano combattendo le truppe iraniane. Dalle sue esperienze di guerra ha realizzato un documentario sulla guerra che alla fine è stato mostrato in TV. Dopo aver completato il servizio militare, Panahi si iscrisse al College of Cinema and TV di Teheran.

Nel 1992, Panahi ha realizzato il suo primo cortometraggio narrativo The Friend (Doust), che era un omaggio al primo cortometraggio di Kiarostami The Bread and Alley (Nan va Koucheh), 1970. Panahi è stato rapidamente riconosciuto come uno dei registi più influenti in Iran. Il suo approccio cinematografico è noto per evidenziare il lato sociale e popolare della vita in Iran, spesso incentrato sulle difficoltà dei bambini, dei poveri e delle donne. Sebbene i suoi film siano stati spesso vietati in Iran, ha continuato a ricevere consensi internazionali dalla critica cinematografica e ha vinto numerosi premi, tra cui il Pardo d’oro al Festival internazionale del cinema di Locarno per The Mirror (Ayeneh), 1997, il Leone d’oro al Festival di Venezia per The Circle (Dayereh), 2000, il Prix du Jury al Festival di Cannes per Crimson Gold (Talaye Sorkh), 2003, l’Orso d’argento per la miglior regia al Festival di Berlino per Offside, 2006, e Orso d’oro al Festival di Berlino per Taxi, 2015.

Jalal Al Ahmad

Jalal Al Ahmad (1923- 1969), fu un noto scrittore e critico sociale iraniano. In un breve abbozzo autobiografico completato nel 1967, e pubblicato solo dopo la sua morte, egli descrive la sua famiglia conservativamente religiosa. I suoi volevano che suo figlio seguisse una carriera nel bazar, e l’istruzione formale di Jalal si sarebbe conclusa con la scuola elementare se non avesse scelto di iscriversi – all’insaputa del padre – ai corsi serali al Dar-al-fonun, mentre lavorava di giorno come, variamente, un orologiaio, elettricista e commerciante di pelle. Terminato Dar-al-fonun nel 1943, passò alla Facoltà di Lettere del Collegio degli insegnanti di Teheran, laureandosi nel 1946, e l’anno successivo fu assunto come insegnante di scuola dal Ministero della Pubblica Istruzione. È stato obbligato a continuare a lavorare come insegnante per tutta la vita, nonostante il crescente rispetto e la popolarità che ha guadagnato come scrittore.

Al Ahmad si unì al partito Tudeh poco dopo la seconda guerra mondiale. Alla fine degli anni ’40 prese le distanze da Tudeh poiché era apertamente presovietico. Ha sostenuto il movimento di nazionalizzazione del petrolio del Dr. Mohammad Mosaddeq. Dopo il colpo di stato orchestrato dalla CIA del 1953, Jalal fu imprigionato per diversi anni

Nel 1950, Al Ahmad sposò Simin Daneshvar, un’altra scrittrice iraniana di talento. Tuttavia, dal 1945 al 1968 scrisse romanzi, saggi, diari di viaggio e monografie etnografiche. I soggetti delle sue opere erano principalmente questioni culturali, sociali e politiche, rappresentazioni simboliche ed espressioni sarcastiche. Nelle sue opere ha prestato attenzione alle credenze superstiziose della gente comune e al loro sfruttamento da parte del clero sciita.

Ha tradotto alcune opere francesi in persiano; come “Les main sales” di Jean-Paul Sartre e “The Gambler” di Fëdor Dostoevskij.

Al Ahmad si è recato in regioni povere e lontane dell’Iran e ha cercato di documentare la loro vita, cultura e problemi. Nel 1962, Al Ahmad pubblicò “Gharbzadegi” comunemente tradotto in inglese come ” Occidentosis”, che è il suo saggio critico più famoso. In “Gharbzadegi” scrive una “critica pungente della tecnologia e della civiltà occidentali. Ha sostenuto che il declino delle industrie tradizionali iraniane come la tessitura dei tappeti fosse l’inizio delle vittorie economiche ed esistenziali occidentali sull’Oriente”. Il suo messaggio è stato ampiamente accolto dall’Ayatollah Khomeini e successivamente da altri rivoluzionari durante la rivoluzione iraniana del 1979.

Abbas Kiarostami: un cineasta di culto

Ci sono artisti che per tutta la vita realizzano infinite variazioni di un’unica opera, e altri che scelgono di non ripetersi mai. Kiarostami procede zigzagando e senza una meta preordinata, lungo un percorso di ricerca – peraltro esigente e rigoroso – che lo conduce a rimettere continuamente in discussione il proprio lavoro e i risultati acquisiti, pur restando fedele al proprio universo e a un’estetica dello sguardo che è nello stesso tempo un’etica della messa in scena. Kiarostami è anche e soprattutto un artista totale. Come le grandi figure di artisti rinascimentali è un autore capace di esprimersi attraverso i mezzi e linguaggi diversi, restando ogni volta fedele a sé stesso e alle sue tematiche privilegiate: il cinema naturalmente, ma anche la fotografia, il video, la poesia, il teatro. (Alberto Barbera)

Abbas Kiarostami (1940 – 2016) nasce a Tehran la capitale dell’Iran. Da giovane si scrive in un corso di pittura presso l’Accademia delle Belle Arti della capitale iraniana. Nel 1969 raggruppò dei giovani cineasti creando un dipartimento cinematografico a Kanune Parvareshi va Fekri Kudakan, che diventerà un punto di riferimento per la nuova cinematografia iraniana. Ottiene il primo importante riconoscimento con il Pardo di bronzo a Locarno nel 1987 con “Khaneh-ye doost kojast?”. Nel 1995 fa parte della giuria di Venezia e nel 1997 vince ex-aequo la Palma d’oro a Cannes con
“Il sapore della ciliegia”. Nel 2002 scrive e dirige la pellicola “Dieci”, presentata in concorso al Festival di Cannes che racconta dieci scene della vita sentimentale e affettiva di sei donne.

Due o tre cose che so di me

Di Abbas Kiarostami

L’importante è come si inquadra. Qualsiasi cosa. Quando scatto una fotografia, mi chiedo se la stamperò o meno. Di solito esito. Poi finisco per farlo in ogni modo. nel momento in cui si seleziona qualcosa, gli si conferisce un valore addizionale che lo distingue da qualsiasi altra cosa. Non c’è nessuna ragione particolare per la quale io mi trovi a essere regista cinematografico. Mio padre era un imbianchino e non mi ricordo di alcuna traccia di vita culturale nella mia famiglia. Non vedo alcun segno particolare nel mio ambiente che avrebbe potuto spingermi verso la carriera artistica e specialmente verso il cinema. Non approvo che si sottovaluti o si ecciti lo spettatore. Non voglio stimolare la coscienza o creargli sensi di colpa. Il cinema ha il dovere di raccontare le storie, mi sembra che il romanzo lo faccia meglio. Da qualche tempo sto pensando a un altro cinema che mi renda più esigente e si definisca come settima arte. In questo cinema c’è musica, sogno, storia, poesia.

poesia di Kiarostami:

Un capolavoro

sul mio diario

a notte fonda,

al sorgere dell’alba

è solo una sciocchezza.

Leila Hatami

Leila Hatami, nata il 1 ottobre 1972 in Iran ed è un’attrice di grande talento iraniana. Leila è la figlia del regista Ali Hatami e dell’attrice Zari Khoshkam.

Dopo aver terminato il liceo, Leila si è trasferita a Losanna, in Svizzera, e ha iniziato i suoi studi in ingegneria elettrica presso il Politecnico federale di Losanna. Dopo due anni ha cambiato la sua specializzazione in letteratura francese. Ha completato i suoi studi di francese prima di tornare in Iran. Dopo una breve pausa, impegnata con i suoi studi in Svizzera, ha fatto il suo rientro professionale nel cinema con il film “Leila” di Dariush Mehrjui. La sua recitazione in questo film ha ricevuto recensioni molto positive da parte della critica e del pubblico.

Leila ha avuto alcune brevi apparizioni durante la sua infanzia che includono ruoli in Hezar Dastan, una serie TV, oltre a un ruolo nel 1991 come una principessa turca cieca in The Love Stricken (Delshodegan), uno storico film drammatico.

Nel 1999, ha sposato Ali Mosaffa, il suo co-protagonista in Leila. Il suo ruolo in The Deserted Station (Istgah-e Matrouk) 2002 ha vinto il premio come migliore attrice al 26° Montreal World Film Festival. È apparsa nei film di suo marito, Portrait of a Lady Far Away (Sima-ye Zani Dar Doordast) 2005 e The Last Step (Peleh Akhar) 2012. Nel 2012 il film Una Separazione (Jodaeiye Nader az Simin) ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero in cui Hatami ha interpretato il ruolo femminile principale, che le è valso anche il Premio del Festival di Berlino come migliore attrice nello stesso anno. Nell’aprile 2014, è stata annunciata come membro della giuria principale della competizione al Festival di Cannes 2014.

Moḥammad Ali Jamalzadeh  

Moḥammad Ali Jamalzadeh (Isfahan, 1892; Ginevra, 1997) fu un eminente intellettuale iraniano e pioniere della moderna prosa persiana. La vita lunga e produttiva di Jamalzadeh è durata oltre un secolo in un periodo vitale nella storia moderna dell’Iran, dalla Rivoluzione Costituzionale del 1906, alla Rivoluzione Islamica del 1979 e oltre. La pubblicazione nel 1921 della sua raccolta di racconti Yeki bud yeki nabud (C’era una volta), notevole per il suo linguaggio diretto e colloquiale, il notevole uso dell’idioma persiano e l’immensa intuizione sociologica, politica e critica, segnò un importante punto di svolta nello sviluppo della narrativa moderna in Iran. Tuttavia, i contributi di Jamalzadeh alla cultura persiana vanno oltre il genere del racconto. Nell’arco della sua lunga vita (1892-1997), Jamalzadeh pubblicò romanzi, racconti, saggi politici e sociali, articoli di ricerca accademica, recensioni e critiche letterarie e saggi autobiografici e biografici. La sua visione del mondo, riflessa in quasi tutti i suoi scritti, è informata dalla sua esperienza unica come “prodotto di due mondi”, il mondo della lingua persiana, cultura, storia e costumi, compresi i ricordi delle sue esperienze in Iran durante un periodo di sconvolgimenti, rivoluzioni e disordini, e il mondo che ha abitato in Occidente come prodotto di un’educazione occidentale, della conoscenza delle lingue e dei metodi di ricerca europei. La sua dedizione per tutta la vita, distinguibile dalle sue storie, saggi, interviste e lettere, è stata quella di collegare questi due mondi e di combinare il meglio di entrambi nel progresso dell’istruzione moderna come arma principale nella lotta contro l’ignoranza, la povertà, l’oppressione e l’ingiustizia per il popolo iraniano.

Nel 1910, Jamalzadeh lasciò il Libano per la Francia per continuare la sua istruzione. Lì, su richiesta dell’ambasciatore iraniano, Mumtaz al-Saltanah, si recò a Losanna, in Svizzera, per studiare legge. Jamalzadeh visse a Losanna, in Svizzera, fino al 1911, dopodiché si trasferì a Digione, in Francia, dove continuò la sua formazione. Jamalzadeh ha scritto molti articoli nel campo della letteratura storica, che si può dire abbia superato i 300 titoli. Lo sfondo storico dell’Iran, le relazioni tra Iran e Russia, la situazione socio-economica e politica dell’Iran sono i temi dei suoi articoli e libri.

Nima Yushij

Nima Yushij (1897-1960), il primo grande poeta persiano moderno, sviluppò una forma poetica in seguito chiamata New Poetry, Free Poetry per rimuovere le restrizioni della rima e del metro tradizionali. Sebbene non sia stato l’unico o anche il primo a tentare di modernizzare la poesia persiana, è stato quello a cui è stato conferito il titolo di “il padre della moderna poesia persiana”.

nasce l’11 novembre 1897 a Yush, un villaggio di Nur, città dell’Iran settentrionale. Suo padre, Ebrahim, era un convinto sostenitore del costituzionalismo. Era in grado di leggere e scrivere; il fatto lo contrassegna come un membro dell’élite iraniana all’inizio del ventesimo secolo. Tuba, la madre di Nima, era una nipote di Hakim Nuri, un poeta dell’era Qajar.

Parvin Etesami (1907 – 1941)

Parvin Etesami, nata a Tabriz, è stata una poetessa iraniana del XX secolo. Parvin da piccola imparò il persiano, l’inglese e l’arabo da suo padre, e da quell’età iniziò a comporre poesie sotto la supervisione di suo padre e di maestri di grande talento come Dehkhoda e Bahar.

La letteratura persiana e araba la stupiva sempre e lei con il suo ricco garbo all’età di otto anni, iniziò a scrivere poesie, e soprattutto componendo dei pezzi strutturati e delicati che suo padre traduceva da libri stranieri (francese-turco e arabo), così sperimentava naturalmente il suo talento letterario sviluppando uno stile particolare e multilinguistico.

Nelle sue poesie, Parvin segue lo stile dei pionieri, in particolare Nasser Khosrow, e le sue poesie includono principalmente temi morali e mistici. Parvin esprime saggezza e questioni morali in un linguaggio così semplice ed eloquente che impressiona il lettore di ogni classe.

La poesia di Parvin, dal punto di vista dell’espressione di concetti e significati, è più in forma di “dibattito” e di “domanda e risposta”. Ci sono più di settanta esempi di dibattiti nel suo Divan – raccolta di poesie -, che l’ha resa prominente tra i poeti persiani in questo senso. Nel potere delle parole e nella padronanza delle industrie e dei riti della parola, lei è stata alla pari con oratori famosi, e nel frattempo presta particolare attenzione al dibattito e fa rivivere questo metodo, che era il metodo dei poeti del nord dell’Iran.

La vita di Parvin è stata accompagnata da diversi momenti socio-politici come la Rivoluzione Costituzionale, la caduta della dinastia Qajar, l’incronizzazione di Reza Shah e la prima guerra mondiale, tutto ciò ha reso Parvin consapevole delle questioni del suo tempo che creano uno sfondo sociale nelle sue poesie composte. A causa della mancanza di giornali e altri mass media in quel momento, l’unico modo per familiarizzare con le questioni politiche era il dialogo con suo padre. La poesia di Parvin include temi come l’oppressione, la lotta alla povertà, la giustizia e l’idealismo. Questo è il motivo per cui alcuni hanno considerato Parvin uno degli architetti della storia e del pensiero politico iraniano.

La lacrima dell’orfano

“Da ogni strada e da ogni tetto si levavano grida di gioia;

Quel giorno il re stava passando per la città

In mezzo a tutto questo, un ragazzo orfano esprime i suoi dubbi,

Cos’è quella scintilla che si trova in cima alla sua corona?

Qualcuno ha risposto: non sta a noi saperlo,

Ma è una cosa impagabile, è chiaro!

Una saggia anzina con il gobbbo si avvicinò e disse:

“quello è il sangue del tuo cuore e la lacrima del mio occhio!

Ci ha ingannati con i panni del pastore,

ma questo lupo da anni conosce il gregge,

Sulle lacrime dell’orfano, fissa il tuo sguardo.

coaì vedi da dove proviene il bagliore della gemma”.