Poesia e i poeti classici dell’Iran: principali forme e scheme ritmiche L'antico persiano dell'impero achemenide, conservato in numerose iscrizioni cuneiformi, era una lingua indoeuropea con strette affinità con il sanscrito e l'avestico (la lingua dei testi sacri zoroastriani). Dopo la caduta degli Achemenidi l'antica lingua si sviluppò, nella provincia di Pars, in persiano medio o pahlavi (nome derivato da Parthavi, cioè partico). Il pahlavi fu usato per tutto il periodo sasanide, anche se oggi rimane poco di quella che doveva essere una letteratura considerevole. Sopravvivono circa un centinaio di testi pahlavi, per lo più di religione e tutti in prosa. Le raccolte di romanzi Pahlavi, tuttavia, fornirono gran parte del materiale per Shahnameh di Ferdowsi. Dopo la conquista araba si rese necessaria una conoscenza dell'arabo, perché non era solo la lingua dei nuovi governanti e del loro stato, ma della religione che portavano con sé e più tardi del nuovo sapere. Sebbene il pahlavi abbia continuato a essere parlato nella vita privata, l'arabo è stato dominato negli ambienti ufficiali per un secolo e mezzo. Con l'indebolimento del potere centrale emerse una forma modificata di pahlavi, con la sua struttura grammaticale indoeuropea intatta ma semplificata, e con una grande infusione di parole arabe. Questo era il persiano moderno in uso oggi. L'arabo continuò ad essere impiegato in Iran, sebbene su scala decrescente, poiché il latino fu usato in Europa, cioè come lingua dei dotti. Come tale fu impiegato da Abu Ali Sina (Avicenna), al-Biruni, Rhazes, Al Ghazali e altri; infatti, molti dei nomi più famosi della letteratura araba sono quelli di uomini di nascita persiana, ma in generale l'uso dell'arabo diminuì; Il persiano si sviluppò rapidamente per diventare il veicolo di una grande letteratura e, prima, estese a lungo la sua influenza nelle terre vicine. In India la lingua e la
Poesia e i poeti classici dell’Iran:
principali forme e scheme ritmiche
L’antico persiano dell’impero achemenide, conservato in numerose iscrizioni cuneiformi, era una lingua indoeuropea con strette affinità con il sanscrito e l’avestico (la lingua dei testi sacri zoroastriani). Dopo la caduta degli Achemenidi l’antica lingua si sviluppò, nella provincia di Pars, in persiano medio o pahlavi (nome derivato da Parthavi, cioè partico). Il pahlavi fu usato per tutto il periodo sasanide, anche se oggi rimane poco di quella che doveva essere una letteratura considerevole. Sopravvivono circa un centinaio di testi pahlavi, per lo più di religione e tutti in prosa. Le raccolte di romanzi Pahlavi, tuttavia, fornirono gran parte del materiale per Shahnameh di Ferdowsi.
Dopo la conquista araba si rese necessaria una conoscenza dell’arabo, perché non era solo la lingua dei nuovi governanti e del loro stato, ma della religione che portavano con sé e più tardi del nuovo sapere. Sebbene il pahlavi abbia continuato a essere parlato nella vita privata, l’arabo è stato dominato negli ambienti ufficiali per un secolo e mezzo. Con l’indebolimento del potere centrale emerse una forma modificata di pahlavi, con la sua struttura grammaticale indoeuropea intatta ma semplificata, e con una grande infusione di parole arabe. Questo era il persiano moderno in uso oggi.
L’arabo continuò ad essere impiegato in Iran, sebbene su scala decrescente, poiché il latino fu usato in Europa, cioè come lingua dei dotti. Come tale fu impiegato da Abu Ali Sina (Avicenna), al-Biruni, Rhazes, Al Ghazali e altri; infatti, molti dei nomi più famosi della letteratura araba sono quelli di uomini di nascita persiana, ma in generale l’uso dell’arabo diminuì; Il persiano si sviluppò rapidamente per diventare il veicolo di una grande letteratura e, prima, estese a lungo la sua influenza nelle terre vicine. In India la lingua e la poesia persiana divennero in voga presso le classi dirigenti, e alla corte dell’imperatore Moghul Akbar il persiano fu adottato come lingua ufficiale; diffondendosi da lì e fondendosi più tardi con l’hindi, diede origine alla lingua urdu.
Una caratteristica notevole del persiano è la piccola misura in cui è cambiato nel corso dei mille anni o più della sua esistenza come lingua letteraria. Così le poesie di Roudaki, il primo poeta persiano degno di nota, morto nell’anno 941 d.C., sono perfettamente comprensibili al lettore moderno. Anche la letteratura persiana ha una serie di caratteristiche degne di nota, la più sorprendente delle quali è l’eccezionale rilievo della poesia. Fino a poco tempo fa non c’erano praticamente drammi e non venivano scritti romanzi; le opere in prosa erano per lo più limitate alla storia, alla geografia, alla filosofia, alla religione, all’etica e alla politica, ed era la poesia che costituiva lo sbocco principale per l’espressione artistica. La letteratura persiana classica è stata prodotta quasi interamente sotto il patrocinio reale, donde la frequenza dei versi panegirici. Un’influenza di almeno uguale forza fu la religione, e in particolare il sufismo, che ispirò la proporzione straordinariamente alta della poesia mistica.