Chahar Shanbeh Souri
La festa dell’ultimo mercoledì dell’anno
L’ultimo martedì sera dell’anno solare (a marzo) viene celebrato dagli iraniani con una festa chiamata Chahar Shanbeh Souri, che potrebbe essere tradotta come “la festa del falò di mercoledì”. Tutte le
famiglie e i vicini escono in strada, accendono i falò poi ci saltano sopra correndo e recitando un ritornello che dice: “zardie man az to, sorkhie to az man” che la traduzione sarbbe: “che il mio giallore sia tuo, e il tuo rossore sia mio”. Questo rito, che risale all’epoca zoroastriana, vuole esprimere un augurio di buona salute: il colore giallo che gettiamo nel fuoco rappresenta la malattia, il colore rosso che stiamo cercando di acquisire rappresenta la forza e salute.
Chahar Shanbeh Souri è l’occasione di un grande festeggiamento popolare tra gli iraniani per celebrare insieme questa serata. La credenza al rito infatti risale ai tempi dello zoroastrismo in Persia. Gli zoroastriani credevano che saltare sul fuoco avrebbe permesso loro di liberarsi dalle loro malattie e acquisire la forza vitale del fuoco, un simbolo di salute e benessere. Questa festa del fuoco è accompagnata da una serie di cerimonie e tradizioni popolari tra le quali possiamo citare l’offerta di dolci conosciuti come ajil-e moshkel gosha, un misto di nocciole, pistacchi, noci, uvetta, gelsi secchi chiusi in un sacchettino che letteralmente vuol dire “la frutta secca risolve-problemi”.
Un’altra tradizione ancora più antica è quello di rompere i vasi di terracotta per scacciare la sfortuna. Si chiama in persiano kouzeh shekastan. La sera stessa della festa di Yalda, i bambini hanno l’abitudine di travestirsi, camminare per le strade del quartiere con una pentola rovesciata e un cucchiaio sbattendola forte, andando dai vicini a chiedere dolci o caramelle. Recentemente la festa di Yalda, così come il capoddano presso cristiani, viene accompagnata dai fuochi artificiali, petardi e botti.
I fatti mitologici e letterari della festa
La storia di Siyavash legata a Chahar Shanbeh Souri
Una figura importante nell’opera epica di Ferdowsi, Il Libro dei Re: lo Shahnameh. Siyavash era un leggendario principe dell’antico impero persiano. La moglie di suo padre, Sudabeh, aveva una passione per lui. Sudabeh poi dice a Siyavash che è pronta ad uccidere suo marito, per diventare la sua legittima moglie, ma Siyavash rifiuta la sua decisione. Una volta rifiutati questi ripetitivi progressi, Sudabeh cade in uno stato compulsivo e fa una falsa accusa a Siyavash, di fronte a suo marito. Il re decide quindi di testare l’innocenza di Siyavash con la prova del fuoco: viene acceso un fuoco e Siyavash deve attraversarlo e uscirne illeso per dimostrare la sua innocenza. Il principe, sulla sella del cavallo a galoppo, si precipita nel fuoco ed esce sano e salvo confermando la sua innocenza. Il re è quindi determinato a condannare a morte Sudabeh, ma Siyavash intercede per lei e la sentenza non viene eseguita. Da quel giorno, tutti gli iraniani hanno celebrato l’innocenza di Siyavash accendendo fuochi e saltandoci sopra.
Il mito fondatore curdo di Kaweh il fabbro legata a Chahar Shanbeh Souri
Questo mito racconta la storia di Zahak, un malvagio re assiro, che aveva serpenti che crescevano sulle sue spalle. Il regno di Zahak durò mille anni e fece sì che la primavera non tornasse mai più. Durante questo periodo, due giovani uomini venivano sacrificati ogni giorno e il loro cervello veniva offerto ai serpenti di Zahak, al fine di alleviare il suo dolore. Tuttavia, l’uomo incaricato di sacrificare i due giovani ogni giorno uccideva solo un uomo al giorno e mescolava il cervello con quello di una pecora, per salvare l’altro uomo. I giovani salvati dal sacrificio fuggirono sulle montagne. Secondo la leggenda, queste persone sono gli antenati dei curdi.
Il fabbro di nome Kaweh, i cui sedici figli erano stati sacrificati, si ribellò quando il suo ultimo figlio fu catturato. Decise quindi di unirsi alle montagne e organizzare insieme ai giovani fuggitivi una rivolta per ribellarsi e uscire da tale tirannia una volta per sempre. Essi così marciarono verso il castello di Zahak, dove Kaweh uccise il re con un martello. Durante la cattura del palazzo di Zahak, Kaweh diede fuoco al suo grembiule, che attaccò al martello del suo fabbro, per indicare la sua vittoria. Il riferimento al fuoco non è banale: si riferisce infatti ai legami iranici dei curdi. La primavera è tornata in Kurdistan il giorno successivo. Nella tradizione come il giorno in cui Kaweh ha sconfitto Zahak. Da allora, ogni anno, i curdi accendono fuochi e ballano per celebrare la vittoria della libertà sulla tirannia.
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